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Dalla fantascienza alla realtà: MorpHex, il robot mutaforma

MorpHex è un robot inventato dal bravo Kare Halvorsen. L’ingegnere norvegese non è nuovo a invenzioni del genere, ma con MorpHex è riuscito a ottenere un salto di qualità. Il robot, capace di trasformarsi da “ragno” a sfera nel giro di pochi secondi, è composto da una serie di sezioni, ognuna governata da due motori indipendenti, che ne formano l’esoscheletro. Segue un video dove è possibile ammirare le notevoli capacità del robot. Qui troverete invece il canale YouTube di Halvorsen.

Kipple intervista Dario Tonani!

Ciao Dario! È un vero piacere, anzi un onore, poterti ospitare sul blog di Kipple. Di certo non hai bisogno di presentazioni. Sono tanti i tuoi successi letterari: da “Infect@” al recente “Mondo9”. Vorrei iniziare l’intervista con una domanda che riguarda le tue opere. Ci sono dei temi che hanno caratterizzato alcuni autori più di altri. Tanto per fare un esempio, nel caso di Philip K. Dick uno dei suoi temi principali era la natura della realtà. Quali sono i temi prevalenti che emergono invece dalle tue storie?
Grazie a voi dell’invito, è un piacere. Parti subito con i calibri grossi, eh Roberto. Riferendomi strettamente alla fantascienza, direi che uno dei miei temi ricorrenti è senza dubbio quello dell’ibridazione uomo/macchina. Per dirla con un termine che su queste frequenze usate spesso, il mio è però un post-umanesimo molto “tossico”, nulla a che vedere con l’equilibrio armonico tra silicio e neuroni che tanto cyberpunk ha preconizzato. Un altro tema? La deriva della tecnologia; il suo uso malato, distorto, invalidante.
Lo sappiamo un po’ tutti: la fantascienza non è un genere sempre apprezzatissimo dalla critica. Eppure ci sono stati grandi autori, alcuni anche del tutto estranei al genere, che hanno trovato nella fantascienza il giusto canale per trasmettere la loro idea. Mi viene in mente ad esempio “Rabbia” del controverso Chuck Palahniuk di cui abbiamo già parlato in questo blog. Ma anche classici intramontabili come “1984” di George Orwell. Nonostante tutto, anche grazie all’apporto di questi grandi autori, la fantascienza sembra resistere. Se dovessi fare una tua prognosi sul futuro del genere, sia a livello nazionale che internazionale, quale sarebbe?
La fantascienza ha smesso di essere un genere “popolare” nel momento stesso in cui la coda del domani s’è insinuata nel nostro presente. Cito sempre il caso degli autori cyberpunk che si sono allontanati dal genere, decretando la fine del movimento, quando hanno percepito che le loro speculazioni erano diventate pane quotidiano. Oggi siamo letteralmente immersi nella fantascienza – cinema, tv, videogame, pubblicità, gingilli elettronici – e l’ultima cosa di cui si sente il bisogno è che qualcuno ci racconti il domani con un testo scritto, con una logica sequenziale, parola dopo parola. La fantascienza è diventata essenzialmente visuale, un’orgia dei sensi. E anche i grandissimi autori che hai citato – adoro anch’io Chuck Palahniuk – possono davvero poco di fronte al modo di “fruire” del domani che hanno soprattutto le nuove generazioni. Ma non vedo tutto nero per la science fiction: la mia ricetta si chiama, ancora una volta, “ibridazione”, “contaminazione”, “crossover” tra generi attigui.
Il rapporto fra tecnologia e letteratura sembra farsi sempre più stretto. Alcuni sono contenti di questo, altri sembrano mostrare una certa diffidenza. Qual è la tua opinione per quanto riguarda le nuove opportunità che la tecnologia offre al mondo della letteratura, ad esempio con gli ebook?
Con me sfondate una porta aperta, sono un entusiasta degli ebook. Come lettore e come autore. Il futuro è lì, che lo si voglia riconoscere o meno.
Quali autori (non solo di fantascienza) sono riusciti a ispirarti maggiormente?
Cinque nomi, ok? Philip K. Dick, James Ballard e Richard K. Morgan nella fantascienza. Cormac McCarthy e appunto Chuck Palahniuk, fuori dell’alveo SF.
Negli ultimi anni hai pubblicato diversi romanzi, novelette e racconti. Un nuovo lettore desidererebbe iniziare a leggerti. Da quale tua opera gli consiglieresti di cominciare?
Bella domanda, non ci ho mai pensato. Ti confesso una piccola curiosità: quando, su Urania, pubblicai il mio “Infect@”, che anch’io considero una sorta di battesimo del fuoco nella narrativa lunga (anche se tecnicamente avevo pubblicato un altro romanzo prima), furono in tanti a dirmi che non sembrava affatto un’opera prima; che assomigliava più a qualcosa di “secondo” o di “terzo”. Beh, si dovrebbe consigliare il primo libro scritto, no? Sono un po’ spaesato a questa domanda. Direi l’ultimo, “Mondo9”…
Mondo9 è un pianeta desertico, infetto, letale, una sconfinata distesa di sabbie velenose punteggiata di agglomerati urbani fatti di ingranaggi, ruote dentate e pulegge.” Così sul tuo sito viene descritto il mondo da te creato nel tuo recente romanzo. Una descrizione pregna di sense of wonder,qualità essenziale che anima tutta la fantascienza di qualità. Da dove nasce l’idea di “Mondo9”?
Come tutte le idee, anche “Mondo9” è il frutto di incroci e di uno strano concorso di circostanze: illuminazioni assolutamente estemporanee, sensibilità del momento, letture, bicchieri che si rompono… La paura di perdere un dito nella portiera di una macchina. Sto scherzando, ma un po’ è così: la pianta cresce in altezza e invecchia, e il seme non lo riconosci più…
Sappiamo che, dopo tutto il successo meritato che sta avendo “Mondo9”, ci sarà un seguito. Sono sicuro che i tuoi fan muoiono dalla voglia di saperne di più. Cosa puoi anticiparci? Qualche altro progetto all’orizzonte?
Di “Mondo9-2.0” dirò solo che si svilupperà con le modalità del primo volume: storie singole che usciranno dapprima in ebook e saranno poi raccolte (assieme a diverso materiale inedito) in un fix-up che uscirà su carta nel 2014. Il primo capitolo del nuovo corso sarà molto più lungo dei precedenti, un romanzo breve. Altri progetti? Parecchi: brevi, lunghi, seriali, e anche piuttosto diversi l’uno dall’altro.
Ti vorrei ringraziare molto, Dario, a nome di tutta Kipple, per l’intervista. Ti faccio un grossissimo in bocca al lupo per il seguito di “Mondo9” e spero di poterti presto ospitare di nuovo qui.
Crepi il lupo, Roberto. E grazie agli amici di Kipple per l’apprezzatissima ospitalità. Stay tuned allora!
Segrate (MI), 19 maggio 2013

Le altre interviste di Kipple:

Romanzi da 15 minuti

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[Letto su Corriere.it]

Mai troppo lungo. Così da poter essere iniziato e terminato nel tempo di una pausa pranzo o lungo il tragitto in tram che porta da casa al lavoro. Tablet, ebook reader, smartphone sono i nuovi strumenti tecnologici che consentono al libro di essere letto non solo ovunque ma anche in un modo diverso. «Più rapido – spiega Giovanna di Rosario, docente di Letteratura elettronica all’Università di Jyväskylä (Finlandia) – sia per adattarsi agli interstizi liberi della quotidianità che a un’attitudine mentale più impaziente e protesa verso una risposta immediata, un’attitudine che ereditiamo dalla cultura di Internet».

A tal punto che il tempo di lettura può ormai diventare un criterio di classificazione delle stesse opere e che, esaltate dalle potenzialità del digitale, le forme narrative (come il racconto lungo o il saggio breve) sembrano addirittura risorgere a nuova vita. Divide, ad esempio, i suoi testi in base alla «durata», il sito longreads.com: da meno di 15 minuti (sotto alle 3.750 parole) a più di 60 minuti (oltre le 15 mila parole). Sempre su Internet, testimonia la nuova tendenza alla lettura breve anche smartnovel.com, sito francese che resuscita l’ottocentesco modello del feuilleton, riproponendolo in una serie di puntate digitali separate. E riprende anche vigore la tradizionale pubblicazione su rivista. Come nel caso di Altrisogni, e-magazine di narrativa fantastica che ai «racconti lunghi» dedica un’apposita sezione. L’esigenza di una forma narrativa più estesa di una short-story, ma più breve di un romanzo, è stata d’altra parte intercettata anche a un livello più istituzionale: pochi mesi fa Amazon ha lanciato nel suo negozio online Kindle Singles ovvero una sezione dedicata a singoli racconti, saggi e romanzi brevi «lunghi due volte un servizio del New Yorker, tanto quanto un paio di capitoli di un libro tradizionale».

Testi che potrebbero conquistare un pubblico nuovo. Lo stesso che viene guardato con interesse anche dai giornali, per l’eventuale diffusione (e vendita) degli articoli dallo stile più lungo. In Italia a saggi brevi e racconti si dedica la casa editrice 40k (40 mila le battute massime dei testi, da cui il nome). «Siamo partiti circa un anno fa e i risultati sono ottimi – testimonia il fondatore Marco Ghezzi -. Solo un mese fa l’autorevole sito Brain Pickings ci ha indicato come una delle sette piattaforme che stanno cambiando l’editoria».

Sugli eBook – Corriere.it

A Picture of a eBook

Un articolo apparso sul Corriere.it mette l’accento sull’anacronismo e fastidio generato dalle case editrici digitali quando mettono i lucchetti alle loro pubblicazioni, i famigerati DRM. È evidente che la chiosa (riporterò tutto l’articolo qui sotto) del giornalista è data dall’esasperazione di chi non riesce a usare ciò per cui ha pagato perché chi lo vende lo vuol proteggere dalla pirateria a spese di chi lo acquista onestamente, senza contare che chi è abile aggira le protezioni DRM, magari scaricando il file sprotetto sui programmi di condivisioni, a mo’ di sfregio agli editori miopi.

Comprate solo materiale che non prevede i DRM. Ed ecco l’articolo:

* * *

Possiedo un ereader, un bel Sony PRS-650, che mi è stato regalato il Natale scorso. E sono in vacanza. Quindi vado al mare. E ci vado in bicicletta. Magnifico, ho pensato partendo. Invece di caricarmi di libri pesantissimi quando vado in spiaggia, mi porto il Sony: ho già caricato un bel po’ di Agatha Christie, qualche libro di storia militare (per i quali nutro un’insana passione), qualche cosa mi compro online dal mare (ho un pc portatile e un collegamento adsl), e chi mi ammazza? Bene, tre giorni fa decido di fare il primo acquisto: vado su Bol e scelgo Gli occhi di Venezia di Alessandro Barbero, di cui ho già avuto modo di apprezzare un bel libro sulla battaglia di Waterloo e altre piacevolezze. Acquisto, pago, scarico e al momento di trasferire l’acquisto dal pc sul reader mi trovo di fronte a una schermata pop-up che mi dice: «Impossibile trasferire il contenuto: reader autorizzato per altro utente».

In tutta evidenza un problema con Adobe DRM, la maledetta autorizzazione che i nostri cari editori hanno ritenuto di inserire per scongiurare lo spettro della pirateria.

Vabbè, penso, ho due indirizzi email, ho un sacco di nomi utenti e password sparsi per la rete (visto che la uso tantissimo), avrò fatto qualche casino, colpa mia. Entro in tutti gli account possibili e immaginabili (Adobe, Sony, ecc ecc), mi assicuro che tutti gli id e le password siano gli stessi e ci riprovo. Niente, stesso messaggio. Vabbè, scrivo all’assistenza Bol. Dopo tre giorni mi rispondono con questa lettera che riproduco:

Gentile Paolo, per leggere gli eBook protetti da DRM è necessario avere sul PC o sul device Adobe Digital Editions. Se il computer su cui si intende conservare la libreria d’origine dei propri e-book non è in grado di utilizzare Adobe Digital Editions, non sarà possibile leggere i file EPUB protetti da DRM e trasferirli ad altri dispositivi. Ti invitiamo, inoltre, a contattare l’assistenza di Adobe per autenticare il reader con lo stessa utenza del pc.
Restiamo a tua disposizione all’indirizzo servizioclientibol@mondadori.it per qualsiasi informazione ti sia necessaria

Francesca Giusti
http://www.bol.it

Insomma, ci hanno messo tre giorni per dirmi che per leggere il libro ho bisogno di Adobe Drm e che devo autenticare il reader con la stessa utenza del pc. Cioè cose che sapevo già e che avevo già fatto e che gli avevo scritto di aver fatto. Allora penso: a mali estremi, estremi rimedi. Formatto la memoria del reader, ripristino le impostazioni di deafult e riinstallo la library sul pc. Rimetto tutte le pw e gli id. Poi riprovo il trasferimento: niente, stesso messaggio di errore.

Allora chiamo il numero Bol per l’assistenza: è un 199, quindi a pagamento, penso che è una bella porcheria visto che chiamo per avere assistenza su un prodotto che ho già pagato oltre 13 euro (una cifra spaventosa per un prodotto immateriale, credo che la versione cartacea non costi molto di più, ma gli editori li conosciamo). Ma pazienza, ormai è diventata una questione di principio. Mi risponde una signora, le spiego il problema, le dico che mi sembra che l’unica soluzione sia che mi rimandino il libro come se fosse il primo acquisto in modo da cancellare ogni traccia delle autorizzazioni precedenti. Mi risponde che non è possibile, che devo mandare una nuova lettera, la quale sarà poi inviata a chi di dovere nelle segrete stanze di Bol. Ma la lettera l’ho già mandata, replico, la risposta è stata inutile, ho chiamato al telefono proprio perché magari, a parole, riesco a spiegarmi meglio e magari si trova una soluzione. La signora è un po’ seccata, è chiaro che sta pensando: «Guarda questo deficiente», gli ho spiegato la situazione e insiste. Quello che la signora non vuole capire (ma in questo è in buona compagnia con tutti gli help desk di questo mondo) è che chi telefona è nei pasticci, si sente già abbastanza deficiente e che comunque ha tutto il diritto di esserlo visto che sta chiedendo aiuto per utilizzare una cosa CHE HA PAGATO!!

Rinuncio, metto giù e mi viene un altra idea: faccio un altro acquisto su una libreria diversa, così capisco se dipende da qualche codice nascosto rimasto nel download di Bol. Compro un libro da Feltrinelli, provo a trasferire, stesso messaggio di errore. Non dipende dal download errato Bol, dipende da qualcosa che è (o non è) nel pc.

Allora torno sui forum che avevo già consultato e finalmente capisco. Tutti i miei precedenti download li avevo fatti da casa, ora uso il portatile, forse devo riautorizzare. Infatti è così, ho autorizzato per Adobe Drm anche il portatile e ora il trasferimento è liscio come l’olio. Ci sono arrivato da solo, meno male.

Ma mi domando: a un servizio di assistenza come quello di Bol non viene in mente una cosa del genere? Chi cavolo ci mettono a rispondere ai clienti in difficoltà? Se la persona che chiede aiuto pensa di aver fatto il possibile ma non l’ha fatto, non tocca all’help desk fare le domande giuste per sapere se magari il cliente ha trascurato qualcosa? È così che gli editori sperano di diffondere l’editoria online, che deve essere facile come comprare un libro in libreria altrimenti è destinata al fallimento? È necessario che per essere sicuri di non essere piratati si ricorra a metodi tanto macchinosi (che tra l’altro non funzionano, visto che la rete è piena di libri pirata, forse sarebbe meglio fare un po’ meno profitti e abbassare un po’ i prezzi)?
Domande senza risposta, temo. Per quanto mi riguarda, l’unica consolazione è che lavorando al Corriere online e conoscendo i titolari di questo blog, posso vendicarmi e mettere all’indice Bol. E se trovo uno che pirata i libri (cosa che ho sempre trovato disdicevole e che tendo a non fare, visto che è giusto che chi produce opere dell’ingegno ci guadagni e visto anche che io non sono un povero studente squattrinato), giuro che gli offro un caffè. Perché, Santo Iddio; un po’ di pirateria se la meritano proprio.

Paolo Rastelli

Gli album diventano "app". Bjork reinventa la musica – Repubblica.it

Un nuovo modo di concepire le raccolte musicali degli artisti (in altre parole, gli album) per adeguarsi al mercato moderno delle App, ovvero un repository di programmi, applicazioni, giochi, musica, gestito dai produttori di smartphone, compagnie telefoniche e quant’altro da cui è possibile scaricare, ora, anche creatività multimediale.

Repubblica.it tracci un esaustivo articolo sulla questione, e ne riporto qui solo uno stralcio, ma l’invito che vi rivolgo è: leggetelo tutto, molto interessante e, sì, creativo.

Il nome fa sorridere, “app album”, ma potrebbe rappresentare il futuro della tormentata industria musicale. Il progetto è firmato da Bjork, la cantante islandese, che ha da poco pubblicato nel negozio online della Apple il primo brano di Biophilia. O meglio: la prima costellazione multimediale di una galassia che verrà completata il 26 settembre. Un nuovo modo di realizzare dischi ai tempi dell’iPad, sintesi fra suoni, testi, immagini, interazione. Esce, non a caso, in prima battuta per il tablet di Steve Jobs e in seguito in forma di normale compact disc.

Al brano disponibile sull’App Store, Crystalline (prodotto dagli inglesi Eddie Jefferys e Jason Morrison, meglio noti come 16bit), seguiranno gli altri nove. Una volta scaricata gratuitamente l’applicazione, universo stilizzato quasi in bianco e nero, bisogna acquistare le diverse nebulose a 1.59 euro l’una. Passano dalla musica alle animazioni interattive, dai testi ai video e offrono la possibilità di intervenire parzialmente sulla traccia sonora per modificarla. Il tutto realizzato in parte direttamente su iPad e con la collaborazione di artisti multimediali e registi del calibro Scott Snibbe e Michel Gondry. Con l’aggiunta di una casa editrice eclettica come Touch Press, che ha già lavorato con il mondo delle applicazioni.

Richard Stallman al Next-Emerson

Da Repubblica.it un bell’articolo sulla conferenza che Richard Stallman, il guru del mondo informatico libero, ha tenuto presso il Centro Sociale fiorentino Next Emerson.

Stallman ha ribadito energicamente i suoi argomenti contro il software proprietario, per il semplice fatto che tale software – inteso anche come software che lavora su Internet, quello prodotto da grosse multinazionali – sia un’arma a doppio taglio: laddove gratuito (e non sempre lo è) garantisce soltanto la tracciabilità delle nostre azioni e pensieri. Voi che ne pensate?

Un estratto dall’articolo:

Stallman parte subito all’attacco contro cloud computing, software chiuso e intercettazioni. Non vuole le sue foto su Facebook, “non è nostro amico” dice, “e se fate riprese non usate tecnologie proprietarie”. Il suo intervento è sulla libertà nella società digitale. “La tecnologia digitale può essere uno strumento oppressivo e le multinazionali lavorano per ridurre i diritti delle persone”. “Ma sono stupide. Si può fare business anche senza togliere a nessuno la libertà di parola”. Il suo intervento riassume bene la maggior parte degli incontri del convegno: privacy, sicurezza, copyright, Gnu/Linux. Per Stallman “il primo pericolo è la sorveglianza digitale fatta coi nostri computer quando hanno software che non controlliamo. Ma accade soprattutto con Internet e la violazione sistematica della nostra privacy”. “Questa è tirannia”, dice.

Un altro problema, secondo il guru, è quello dei formati e dei DRM (le chiavi crittografiche per controllare i contenuti digitali), “manette elettroniche” le chiama. “Certi formati sono pericolosi (malicious). Chi riceve fondi pubblici non dovrebbe poter usare formati non interoperabili (che richiedono specifici software commerciali per essere letti). In più, per giunta, sono pure brevettati”. La differenza, per Stallman e gli hacker riuniti a convegno, è tra il software libero e il “software soggiogante”. Tra il software controllato dall’utente e l’utente controllato dal software. E qui parte l’affondo contro il cloud computing. “Se usi i network service devi chiederti come loro usano te”. “Il software come servizio (“la nuvola”), significa che qualcun altro sta gestendo il tuo computer e i tuoi dati. Rifiutalo. Possono perdere i tuoi dati, modificarli, cederli ad altri senza che lo sappiate. Pensateci”.