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Situazionismi Kipple-connettivi alla Starcon

Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944)

Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) (Photo credit: Wikipedia)

Chi era a Bellaria nel week-end scorso, alla Starcon, avrà avuto modo di impattare con strani momenti situazionisti, reading improvvisati da parte dei connettivisti, enunciati grazie a un megafono; erano brandelli lirici di Marinetti, di Ballard e di alcuni statuti della Nazione Oscura, di patrimonio Kipple e intrinsecamente legati al Connettivismo stesso.

Qui sotto riportiamo il testo rielaborato di Marinetti, nato da una lettera che il fondatore del Futurismo scrisse ai Veneziani; ne sono state approntate di versioni simili per i Milanesi e per i Fiorentini, ma questa di Bellaria ha un sapore tutto particolare, da Istituto Luce (chi ha ascoltato la performance, capirà). Per voi, il testo integrale:

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Mimesis presenta un capolavoro di Malzberg

Mimesis Fantascienza e Società, collana diretta da Antonio Caronia e Domenico Gallo, esce con un romanzo di Barry Malzberg, Oltre Apollo, tradotto da Riccardo Gramantieri.
Ed è una piacevole novità, sembra infatti che tutta la New wave inglese a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 non venga ristampata più tanto di frequente.
Non è una polemica intellettualistica, la New wave ha lasciato una serie di capolavori di cui la fantascienza si può fregiare ancora e non è eccessivo sostenere che le cose migliori della fantascienza di ogni epoca appartengano alla “nuova ondata” di quegli anni.
Basterebbe citare James Ballard, Samuel Delany, John Brunner e Brian Aldiss per capire che siamo di fronte a un fenomeno che va oltre la fantascienza. E Oltre Apollo, è un romanzo che va oltre il romanzo.
Scritto negli anni un cui la corsa allo spazio stimolata dalla Guerra Fredda si stava esaurendo e trasformandosi in delusione, in più parti si percepisce che lo “spazio esterno” è percepito come “spazio interiore” (tema caro alla New wave) e che quindi l’esplorazione interplanetaria altro non è che una sorta di psicanalisi.
Ma non basta, in questo romanzo Malzberg fa un’operazione postmoderna, descrive in capitoletti frammentari la vicenda in tutte le sue possibili varianti e la presenta come un romanzo scritto dal protagonista stesso, ottenendo quindi un risultato davvero eccezionale.
Un grazie di cuore ai curatori Caronia e Gallo e un incoraggiamento perché facciano riscoprire tutti quegli episodi letterari troppo poco noti e che invece sono ancora il vero fondamento, nonostante tutto ciò che è venuto dopo, della fantascienza di oggi.
Solo alcuni refusi di troppo, di cui ne citerò solo uno perché particolare (e forse potrà alzare le visite a questo blog!), pag. 123 “credo che ora andrò cagare”, manca una congiunzione 🙂

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte III: 1960-1980 Musica

Alla fine degli anni ‘60 la musica popolare si apre alla sperimentazione (in contemporanea alla “rivoluzione parallela” che avviene nel mondo dell’arte, con la nascita della body-art). Da un lato i progressi della tecnologia, dall’altro la diffusione delle droghe, aprivano ampi e inesplorati scenari ai musicisti e alle band musicali.
Tra i primi sono i Pink Floyd in A Saucerful of Secret (1968) e Ummagumma (1969) a dilatarsi in allucinate saghe interplanetarie e a fecondare i semi dello space-rock, un genere di notevole fortuna soprattutto nella scena alternativa inglese nei primi anni ‘70.
Dopo i Pink Floyd citiamo senza dubbio i Kraftwerk (allievi di Stockhausen), gruppo electropop formatosi nel 1970, direi addirittura paladini di un certo postumanesimo ecologico, assolutamente non estremo, ma determinato.
Per quanto riguarda strettamente la musica, gli anni ‘70 sono caratterizzati dallo space-rock (Tangerine Dream, Ash Ra Temple, Popol Vuh, i più tribali Amon Duul I, il più lirico Klaus Schulze e i Faust, che nel nome richiamano anche l’idea Goethiana di superomismo). Importanti i Cabaret Voltaire, sperimentatori, ironici, anch’essi aperti all’idea di una tecnologia filoumana e The Residents, sostenitori di una “teoria dell’oscurità”, che possono essere considerati i progenitori del plagiarismo, la pratica, cioè, di citare, campionare o copiare di sana pianta pezzi pop o rock.
E anche il rock mostra il suo aspetto più postumano: quale musicista infatti ispira più “alienità” del David Bowie degli anni ’70? Bowie crea un vero e proprio personaggio postumano, confermando questa sua attitudine nei dischi (The Man Who Sold the World del 1970 e The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars del 1972) e nei film che interpreta (L’uomo che cadde sulla Terra, 1976).
Senz’altro postumano è l’album Metal Machine Music di Lou Reed. E postumani sono soprattutto i Throbbing Gristle di Genesis P-Orridge (ex mail e body-artist). I loro intenti erano quelli di scioccare con la violenza dell’impatto visuale, concettuale e musicale attraverso rumori, estetiche nazi-militaresche, pornografia, ecc.). P-Orridge utilizza il termine “industriale”, riconosce come guru William Burroughs, James G. Ballard e filosofi post-moderni come Michel Focault, Jean Baudrillard, Gilles Deleuze e Felix Guattari.
Dalla fine degli anni ’70 e soprattutto negli ‘80 si moltiplicano i gruppi di non-musicisti o ex-musicisti che si cimentano in nuove sperimentazioni. Menzioniamo, in una sorta di brain storming del periodo, il duo newyorkese Suicide, che già nel 1977 avevano tradotto il rock tradizionale in un linguaggio minimal-elettronico, Z’ev (forsennato percuotitore di bidoni, primo di numerosi emuli), i Test Department (politicamente schierati e primi sperimentatori di una certa industrial-dance), Foetus (autori di forti miscele sonore che coniugano rock, elettronica e rumore industriale), The Hafler Trio (musicologi dell’elettronica noise, autori di ricerche sonore pseudocolte), Non (il californiano Boyd Rice, autore di inquietanti dischi di puro rumore che si potevano indifferentemente suonare a 16, 33, 45 o 78 giri), gli Whitehouse (ultranoise in cui pure frequenze sono impastate dalla voce delirante del britannico William Bennett) e The Haters (autore di rumore non-sense, con il pregio dell’ironia, che lo porta a concepire un disco senza solchi e palline di vinile).

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte II: 1960-1990 Body-Art

Verso la fine degli anni ‘60, viene usato per la prima volta il termine body-art per segnalare gli interventi newyorkesi di Vito Acconci e Jan Wilson. Il corpo come “materia espressiva” era stato utilizzato, ma Acconci raggiunge un certo livello di estremismo, qualcosa che potremmo per la prima volta definire come “postumano”. Già qualche anno prima (1965-9) un gruppo di austriaci, gli Azionisti Viennesi, adoperando pittura, oggetti, escrementi e materiali umani, si riappropriano del loro corpo, liberando tutti gli istinti repressi ed esibendo le loro nevrosi. Gli interventi sono diversi fra loro, a carattere politico (Otto Mühl, eventi con mescolanze di corpi, oggetti e materiali), rituale (Herman Nitsch, riti con animali sgozzati e squartati e persone nude ricoperte di sangue e viscere), sessuale (Rudolf Schwarzkogler, che arriverà fino alla castrazione e morirà suicida nel 1968 durante una sua performance). Anche il Californiano Chris Burden mette a dura prova la sua resistenza fisica e psicologica. Nel 1971 si chiude forzatamente per cinque giorni in un armadietto di ferro chiuso a chiave, bevendo soltanto acqua. Nello stesso anno, in Shooting Piece, Burden si fa sparare un colpo di pistola su un braccio da una certa distanza, restando lievemente ferito. Nel 1972 (Deadman) si chiude in un sacco di tela, collocandosi in mezzo a una strada trafficata. La francese Gina Pane comincia a lavorare col proprio corpo nel 1968, ma è del 1971 la sua prima azione in cui si ferisce (Escalade). Infine Stelarc, artista cipriota che comincia cimentandosi nelle Sospensioni, una serie di azioni in cui il suo corpo veniva sollevato e lasciato fluttuare all’interno di spazi e gallerie, e che giungerà, vent’anni dopo, a un’altissima integrazione uomo-macchina, come vedremo più avanti.

La ferita, l’incidente violento e una certa componente sessuale caratterizzano tutte queste azioni artistiche, e compaiono anche in libri come La mostra delle Atrocità (1970) e Crash (1973) di James G. Ballard. Il postumanesimo è definitivamente tra di noi, un concetto sempre più assimilato alla nostra “semplice” vita quotidiana.
Per riavvicinarci al nostro principale campo d’indagine, l’elemento sonoro, dagli anni ‘80 è sulla scena il gruppo teatrale di contaminazione La Fura dels Baus, che comincia le sue rappresentazioni nel 1984 con Accions in cui utilizza macchine meccanico-cibernetiche trattate come componenti del corpo umano ibridato. In Suz/o/Suz (1985) le macchine cominciano a essere autonome, macchine ibride con tecnologie riciclate, motori di lavatrice, ruote dentate, bracci meccanici. Ma lo spettacolo si completa soltanto con la presenza dello spettatore, il quale ne fa parte integrante: non vi è alcuna separazione (palco, scenografia) che separa macchine, attori e spettatori, ma il pubblico si muove dentro la musica e le immagini.
Terminiamo questa rapida rassegna di performer “postumani” con l’artista francese Orlan, che comincia nel 1990 le performance chirurgiche che andranno man mano trasformando il suo volto secondo un preciso progetto: ogni singolo pezzo è stato progettato al computer e trasferito sul volto di Orlan. L’artista insiste sulla decostruzione di un’identità unica agendo sulla propria carne, plasmandola e modificandola. Ogni suo intervento chirurgico viene documentato con filmati e video, esso si apre con la sua lettura di alcuni testi (Serres, Artaud, ecc.), a volte durante l’operazione, mentre il bisturi penetra, taglia, e modifica la struttura del suo volto.