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Esce oggi l’eBook “Il concorso che non vincerò” di Alessandro Gatti (Premio Short Kipple 2020)

Il concorso che non vincerò di Alessandro Gatti, racconto vincitore del Premio ShortKipple 2020, esce oggi fresco di pixel nella collana Capsule di Kipple Officina Libraria. Una storia d’amore prende una piega inattesa e il tempo, apparentemente instabile, procede col racconto stesso: un bellissimo omaggio alla SF, al pop, all’ucronia. L’eBook è disponibile su www.kipple.it e nei principali store online.

ESTRATTO

Inaspettatamente qualcosa colpisce il libro che sto leggendo, facendolo volare via. I ragazzini scappano sghignazzando, uno di loro agguanta il pallone. In un attimo sono spariti tutti.
— Si è fatto male? — mi chiede lei, porgendomi il libro.
— No, no… non è nulla, solo un po’ sorpreso… — balbetto, mentre cerco di metterla a fuoco. È proprio lei, la ragazza dagli occhi d’ambra e i lunghi capelli neri. Le mie corde vocali sono come aggrovigliate.
— Che buffo! — prosegue. — Sto leggendo lo stesso libro anch’io! Be’, arrivederci, la mia pausa pranzo è terminata.
— Anch’io devo rientrare al lavoro ora. Più o meno ora, cioè. Allora, arrivederci, a presto.
Rimango impietrito per qualche secondo: forse è interessata a me? No, non credo proprio: ha semplicemente notato che, casualmente, stiamo leggendo lo stesso romanzo. Già, proprio casualmente.
Sistemo il segnalibro e ripongo il libro in fondo alla borsa. Guardo l’orologio del centro commerciale, fantasticando di rincontrarla domani. E da domani potrebbe essere tutta un’altra storia.

LA QUARTA
Una storia d’amore che prende una piega inattesa; il tempo che sembra instabile e procede col racconto stesso; un bellissimo omaggio alla SF, al pop, all’ucronia. Vincitore del Premio Short Kipple 2020.

L’AUTORE
Alessandro Gatti sono anni che racconta le sue vicende. Di quando era un vecchio che narrava storie di draghi a piccoli auditori, o di quando lui stesso era un giovane drago, deriso per le sue diversità. E lui, anziché terminare di trascrivere le sue vite, ne ha tirata fuori un’altra. Quella in cui è un uomo innamorato, in conflitto con il passato e con un destino inatteso. Lui ne è molto contento, perché grazie a questo nuovo “sé” ha vinto il suo primo concorso. Il tempo che si dedica non è molto: preferisce cucinare o strimpellare con la chitarra antiche canzoni. Ogni tanto sente che si è rotto qualcosa, oppure si vede mettere a punto disegni tecnici. Per fortuna, altri sé stessi gli stanno accanto, in fogli sparsi, scritti a penna sopra il suo comodino. Si tengono compagnia: la ragazzina non vedente, Gaspal il macilento, i carcerati pronti all’alto sacrificio, quello con la lettera del padre, amori confusi, perdenti di varie categorie e gatti, tantissimi gatti. Se lui troverà il tempo, terminerà di scrivere le loro storie. O almeno, così dice.

LA COLLANA
Capsule è la collana di Kipple Officina Libraria dedicata ai piccoli capolavori del Fantastico e della SF prettamente italiana, contraddistinti dalla rapidità di lettura e dalla qualità unita alla fruibilità, dove il basso costo di copertina rende le proposte editoriali imperdibili.

Alessandro Gatti, Il concorso che non vincerò
Kipple Officina Libraria – Collana Capsule – Pag. 32 – 0.95€
Formato ePub e Mobi – ISBN 978-88-32179-43-9

Acquistalo qui:
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MERRY FREAKSMAS

La seguente storia è un omaggio al corrente spirito natalizio nella sua più cristallina purezza.

È una piccola storia tenera. Parla di un bambino bravo e obbediente, che desiderava taaaanto tanto possedere un cagnolino…

«Voglio un cucciolo! Voglio un cucciolo!» non faceva che ripetere, fino alla nausea. «Sarò buono con lui. Lo accarezzerò, lo sfamerò, lo disseterò, gli spazzolerò il pelo, di domenica gli farò il bagno, lo porterò a spasso ogni mattina di sole e prima di sera lo porterò a fare i suoi bisognini al parco. Lo giuro, lo giuro, lo giuro, lo giuro…»

Un giorno di quelli la sua cara mamma lo aveva chiamato da parte: «Ho una bella sorpresa per te, Tony. Vuoi che ti dica di che si tratta?»

«Di un cucciolo!» rispose di slancio il piccolo.

Eh no, dolce Tony. Il fatto è che alla mamma erano appena state comunicate dal medico condotto le ragioni di tutti quei malesseri e di quei conati di vomito che la avevano tartassata negli ultimi tempi: «La tua mamma… è in attesa» gli spiegò lei, accarezzandogli la morbida testolina tagliata a scodella in un incessante andirivieni che partiva dalla radice dei capelli e arrivava alle punte.

«Che arrivi il cucciolo?» replicò Tony, ancora speranzoso.

«Ma no!» la mamma questa volta si mostrò un po’ seccata, «Del tuo fratellino!» precisò infine.

A Tony quella notizia non provocava alcun piacere: «Non voglio un fratellino, io voglio un ca-gno-li-no!» si mise a strillare con la sua vocetta acutissima, prima di infilare la porta di casa, quella della staccionata che circondava il giardinetto prospiciente e scappare via in lacrime, strofinandosi gli occhietti arrossati con le manine messe a pugno.

«Voglio un cucciolo, voglio un cucciolo, voglio un cucciolo…» non faceva che frignare per tutta la via, infastidendo i pochi passanti.

Passarono i mesi. Si avvicinavano le festività natalizie.

Tony lo scrisse anche a Santa Klaus: “Caro Papà Natale, come tu ben sai sono stato buono e giudizioso. In cambio quest’anno per regalo desidero UN CUCCIOLO”. Le ultime due parole erano evidenziate da una cornice di punti esclamativi, casomai al buon prodigo vegliardo da un anno all’altro fosse calata un tantinello la vista.

Tony andò persino a chiederlo tutti i santi giorni dentro la chiesa in fondo alla strada, ginocchioni e col visino rivolto al crocifisso: «Ora lì sei morto, d’accordo, ma quando nasci, beh, se non ti rincresce… vorrei tanto che mi portassi un cucciolo!» pregava a mezza bocca. E si impegnò per di più in vari fioretti affinché il cagnetto gli arrivasse.

«Era tanto buono mio fratello, tanto giudizioso e degno di riconoscimenti… Insomma, tanto fece e tanto brigò che alla fine il Signore volle premiarlo, e gli fece nascere… me!» concludeva sempre quel racconto Frank Talamone, in arte Frankie il Ragazzo-Cane, subito prima di tossire una grassa risata catarrosa e finire di scolarsi l’intera bottiglia di grappa di prugne a buon prezzo, stando molto attento a non versarsene neanche un goccio sul pelo che gli ricopriva ogni centimetro di pelle, e alle cui lucentezza e pulizia teneva moltissimo.

Il resto della storia (e tutto quello che ci sta intorno) lo trovi qui

FREAK IN !

Scordatevi le derivazioni più recenti. Scordatevi i fricchettoni da Era dell’Acquario o il geek come attuale sinonimo di nerd appassionato di tecnologie varie.

Torniamo per un attimo a più robusti esordi, risaliamo a periodi più torbidi e politically incorrect donde la parola freak, come l’intero gergo da baracconi che le fa da corollario, trae origine per indicare quegli scherzi o capricci di natura, fenomeni da baraccone o anche (questa la definizione più rispettosa e calzante:) meraviglie umane che circhi e spettacolini, itineranti o stanziali, imperversanti per tutto il XIX sec. e buona parte del ‘900, esibivano davanti a un pubblico pagante.

Obesi colossali, figure scheletriche, spilungoni, nani con testoni e gambe storte o nani tali e quali a quattrenni mai cresciuti, esseri a tre gambe, fratelli siamesi allacciati insolubilmente tra di loro da un cordone di carne, ragazzi dal volto e dal corpo interamente ricoperti di biondo pelo, ermafroditi, persone deformate da innumerevoli tumori benigni ognuno grosso un pugno, gente senza gambe o con un paio di moncherini al posto delle braccia, ritardati con le teste a punta, menomati psichici spacciati per uomini selvaggi, mentecatti capaci di ingoiarsi ratti e insetti vivi, soggetti che giravano con un gemello abortito attaccato al petto e molti altri incubi viventi come questi richiamavano decine di migliaia di stomaci più o meno forti, dietro pagamento del relativo biglietto, durante i molti spettacoli che riempirono, specie nell’area anglofona, i secoli che ci hanno immediatamente preceduto (ma con origini assai più remote, risalenti agli albori della storia, nei pressi della cosiddetta Mezzaluna Fertile, dove si attestano i primi morbosi interessi di carattere pubblico per questo genere di anomalie).

Si tratta in fin dei conti di superhandicappati, gente deformata da tali e tante brutture da risultare quasi una bizzarria esterna alla specie cui di fatto appartengono, ma proprio per questo il genio commerciale dei direttori di circo che facevano brutta mostra di loro li trasformò in artisti. Una forma d’arte del tutto particolare, certo, che a ben guardare contraddice lo stesso termine di cui i freaks si fregiavano, visto che nel loro caso non vi è alcun artificio da ostentare, ma, al contrario, viene loro richiesto di limitarsi a esporre la propria natura, in tutta la sua nudità e crudezza.

Per soggetti consimili, qui da noi, in pieno cattolicesimo, sant’uomini quali il Cottolengo e Luigi Orione preferirono congegnare luoghi di detenzioni, camuffati da ricoveri misericordiosi, entro cui rinchiudere e nascondere tali mostruosità.

La cultura popolare da un certo punto in poi parve optare per questo secondo tipo di approccio: occultare il mostro, ospedalizzarlo, ricoverarlo, dimenticarne la presenza e, se possibile, evitarne preventivamente la nascita, ricorrendo a amniocentesi e analisi mirate.

Eppure, per quanto la società abbia tentato in tutti i modi di espellere la devianza fisica, l’attrazione sinistra e ancestrale che esercita su di noi la visione del mostro riemerge prepotente in barba a tutte le possibili contromisure.

A ben pensarci le pagine di maggior richiamo del Guinness dei Primati come certe gare delle Paralimpiadi altro non sono che un’esposizione aggiornata di malformazione e alterazioni genetiche anche gravi. Il freak prima o poi torna, sempre, e così facendo appaga una comune curiosità che, per quanto insopprimibile, ci resta difficile da confessare apertamente.

I freaks faranno trionfante ritorno in tutto il loro conturbante splendore, questo è l’annuncio! Tra duecento anni tondi tondi da oggi! Fuori dall’orbita terrestre, su una neo-colonia del Sistema Solare esterno. Sarà Monsieur Korallo, a capo di un piccolo circo itinerante che da lui prende nome, a portarceli.

Volete sapere dove e come? Non avete che da leggere Freakshow, Kipple, 2016. Avanti, siòre & siòri, lo spettacolo comincia…

Oltre a ciò, continuate a seguire la presente rubrica, dove di volta in volta il mondo dei freaks vi si squadernerà davanti agli occhi sotto ogni suo rabbrividente aspetto…

Esce Adyton, di Diana Maat, per la collana Versi Guasti

Kipple Officina Libraria è lieta di presentare, nella collana VersiGuasti, “Adyton” di Diana Maat, un viaggio nella Classicità vissuta sulle ali con vena pagana, pregna di senso del sogno e di empatia con gli Elementali, con le antiche divinità.

coverÈ il mondo greco quello in cui la poetessa è immersa, un mondo greco antico che diventa presente, quotidianità dell’autrice. Diana Maat vive in questa realtà che per lei non è lontana nel tempo, è lì, viva. È piuttosto il lettore a essere, come visto, alieno ed estraneo.

Diana Maat partecipa delle dimensioni segrete di culti misterici, eleusini, orfici e dionisiaci. È nella natura stessa del linguaggio di questa sacralità che si fonda il celare, il nascondere, il render vago. Il segreto che essi racchiudono deve restare ineffabile, deve non essere pronunciato.

Adyton, il luogo segreto del Tempio: la poesia di Diana Maat

L’utero gravido della Natura, di cui la poetessa canta, diventa creatore dell’essere umano, del mondo e, circolarmente, del senso del mondo, del suo significato, del suo percorso costante alla conoscenza, alla gnosi misterica e alla salvezza.

Il luogo da cui la vita è cominciata, lo spazio carnale che è Tempio segreto e inaccessibile, prima di ogni parola, di ogni “logos”, diventa lo spazio in cui si vela (e nella poesia svela) il segreto del mondo: un segreto che Diana Maat, quasi sciamanicamente, evoca e descrive per emozione. La Natura è un mediterraneo antico e mitico ma al tempo stesso reale, pulsante e vivente. Un luogo bucolico che diventa scrigno di senso.

E se lo scandalo della poesia fosse portato alle sue estreme conseguenze, potremmo concludere questa introduzione semplicemente osservando che Diana Maat è, nel suo essere poetessa-donna-sacerdotessa, colei che annuncia la Madre: la Natura che dà la vita e il senso della vita. In essa il lettore nasce. Per la prima volta.

La quarta

Il lettore della poesia di Diana Maat si trova catapultato in un mondo inospite, un luogo di cui non vi è apparente significato, uno spazio aperto senza punti di riferimento semantici e logici. Viene colto da un vago capogiro, una sensazione di vortice leggero, costante che si fa via via più intensa sino a un completo spaesamento. Le parole fluiscono, se ne intuisce la forza, la musica, lo scorrere impetuoso. Sono tuttavia parole inafferrabili, impossibile fermarle, trattenerle, raccoglierle.

È un’estraneità che sa quasi di profanazione, come se si fosse partecipi di un evento, di una rappresentazione misteriosamente sacra cui non era tuttavia lecito prendere parte. Un culto che si sta recitando secondo canoni antichi di dimenticate liturgie, suoni che riecheggiano e rimbombano nelle volte di templi segreti in cui il lettore è precipitato, inconsapevole e disorientato.

L’autore

Diana rimanda alla mente la dea delle selve, i culti lunari e segreti delle streghe, i misteri indecifrabili della natura. Maat è la dea egizia che rappresenta l’ordine cosmico ed è connessa alla prova della pesatura del cuore.

Gli antichi egizi credevano che al momento della morte i cuori dei defunti fossero soppesati nella “Sala delle due Maat”, su una bilancia custodita dal dio Anubi. Uno dei piatti ospitava il cuore del defunto, l’altro la piuma di Maat. Se il cuore pesava più di questa, veniva divorato da Ammit e il suo possessore restava negli inferi. In caso contrario, veniva trasportato da Osiride nell’Aaru.

L’autrice vive sul golfo di Napoli e Diana Maat è il suo pseudonimo.

La collana VersiGuasti

VersiGuasti è la collana di Kipple Officina Libraria diretta da Alex Tonelli e interamente dedicata alla poesia e alla letteratura lirica in versione digitale, alla costante ricerca di connessioni e poetiche appartenenti al Connettivismo e non solo.

Diana Maat, Adyton
Kipple Officina Libraria – Collana Versi Guasti – Pag. 37 – 0.95€
Formato ePub e Mobi
ISBN 978-88-98953-39-4

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Kipple presenta i racconti di Sandro Battisti

Kipple Officina Libraria è lieta di presentare due pubblicazioni che esplorano l’universo dei racconti di Sandro Battisti, Premio Urania 2014. Nella produzione dell’autore esistono due scenari, uno che tratteggia il territorio dell’Impero Connettivo, maggiormente esplorato dai romanzi della saga cui fa parte il suddetto Premio Urania 2014, e l’altro che raccoglie tutte le altre suggestioni via via espresse negli anni. Vi presentiamo, quindi, I dispacci imperiali e Nel paradigma frattale, rispettivamente per la collana Spin-off e per Avatar, entrambi in formato coverdispaccidigitale.

I DISPACCI IMPERIALI | Sinossi

Una raccolta di racconti che indagano minuziosamente il mondo imperiale connettivo, retto dall’alieno Totka_II e dal suo plenipotenziario Sillax che realizzano una diarchia di fatto dove le ampie vedute dell’alieno vengono attuate dal suo funzionario principale, dove si muovono in sottofondo altre figure minori dell’apparato imperiale in cui convergono, come ogni storia minuta e vissuta, personaggi del popolo postumano connettivo consci di vivere un’esperienza indimenticabile, storica, lì dove il Tempo e lo Spazio non hanno significato.

NEL PARADIGMA FRATTALE | Sinossi

coverparadigmaSquarci di un futuro che appare connesso, dove le suggestioni personali sono il tappeto umorale sempre sull’orlo di una trascendenza mai annunciata, ma effettiva; i personaggi racchiusi da questa raccolta di racconti di Battisti si muovono sempre in uno stato trasognato, dove la realtà non è mai davvero ciò che appare, dove dietro ogni curva si apposta un’entità, un’energia che prelude a un’epifania o a una perdizione, in pochi in grado di percepire. Weird e cibernetica, trascendenza e visioni acide si susseguono in un climax che ha aperto una strada inesplorata dalla SF italiana ed estera.

Estratto

Sillax s’inchinò verso lo spiraglio olografico da cui effluvi di energia anticipavano rapidamente le volontà del monarca. Icone empatiche appese a mezz’aria segnalavano livelli di epifania standard per le emanazioni imperiali.
– Potrei cominciare dall’impartirti il comando iniziale, caro funzionario Sillax, ma perché rendere le cose facili e noiose? Per questo servizio impellente comincerò dalle mie ultime parole, tanta è la frenesia che mi prende e il desiderio di non annoiarmi che mi sovrasta. Per cui, riavvolgi lo scenario che ti sto per mostrare e inizia dalla fine; non abbiamo certo bisogno dello scorrere canonico dell’entropia per risolvere le questioni, vero?
Altre piccole icone tridimensionali lampeggiavano in uscita dal trono imperiale quasi fossero residui, rimasugli sacrificabili di un’elaborazione informativa, come gocce di un propellente fuori da un serbatoio riempito all’inverosimile.
Sillax non fece in tempo a parlare che si sentì immediatamente stanco, profondamente spossato da un concetto sfuggente che sentiva di dover reiterare ossessivamente a Totka_II, altrimenti avrebbe perso tempo e forse anche importanti posizioni strategiche. Il fumo di una battaglia campale appena terminata si stava diradando e sui prati rimanevano ombre bruciate, chiazze di grasso scuro e mefitico che indicavano rapide decomposizioni di carapaci evoluti, postumani, racchiusi in cases completi di ogni comfort e connessioni neurali, come tante tartarughe futuriste. Sillax comprese che doveva interpretare la scena per trovare l’origine del comando imperiale, e che forse solo a quel punto avrebbe capito qual era la missione da portare a termine in quei transienti di frontiera del continuum

I dispacci imperiali

Il cielo si oscura, anzi, scompare, si dissolve e lascia intravedere un lastricato di punti lucenti, più o meno intensi ma tutti estremamente piccoli, che si estendono su un tappeto di assoluto nero, pregno di un freddo intuibile in grado di uccidere al solo pensiero. Sono dentro ad un pozzo gravitazionale, realizzo improvvisamente con un’onda di shock atomico intenso quanto una devastazione; il giardino è una proiezione olografica dei miei ricordi precedenti, estratti con cura ma con immensa fatica durante una seduta di medicina karmica. Sono nato sulla Terra qualche decina di anni fa, ho dimenticato quando esattamente ma il livello d’invecchiamento delle mie cellule indica un’età di almeno cinquant’anni il che, per interpolazione di calcolo sulla base dei miei processi di ringiovanimento, mi fa pensare di averne almeno novanta. Significa che novanta anni fa nacqui dopo aver vissuto altre esperienze, in secoli precedenti, millenni precedenti. Devo aver visto quel giardino in un pre­ciso istante della mia vita psichica anteriore, percepibile adesso perché sono riuscito a collegarmi sul canale energetico ancora esistente dove io vivo, adesso, insieme al giardino stesso.
Un eterno presente. Che condiziona l’eterno presente dove vivo ora, nel pozzo gravitazionale, quassù, tra le stelle.
La scena che vedo rapidamente svolgersi nel giardino è agghiacciante.
Da una siepe che costeggia il recinto della mia modesta dimora fuoriesce un manipolo di predoni, faccia truce, abiti luridi e strappati. Hanno lo sguardo barbaro, gli occhi iniettati di sangue e brandiscono dei coltelli, alla vista assolutamente micidiali. Ho l’esatto tempo di aver paura, panico forse. Mi guardo intorno e scopro che lo stesso terrore assoluto avvolge la mia famiglia.
I briganti hanno dalla loro rapidità e precisione, oltre che la ferocia tipica di chi non ha nulla da perdere se non la fame. Cadono rapidamente i miei due figli, trafitti da colpi di daga sicuramente in dotazione all’esercito imperiale; il sacrificio di mia moglie, che ha parato con il suo corpo il figlio più piccolo, è drammaticamente evi­dente a me che non ho avuto lo spirito, la forza, l’animo di gridarle “ferma, è inutile, salva almeno te stessa”. Ho lo sgomento tipico del condannato a morte, so che ora è il mio turno.

Nel paradigma frattale

L’autore

Sandro Battisti è noto in rete con lo pseudonimo di Zoon. Nel 2004 è stato uno dei fondatori del movimento letterario connettivista e a partire dal 2005 si è dedicato allo sviluppo di uno scenario comune a molti suoi lavori successivi, noto come Impero Connettivo. Ha vinto il Premio Urania 2014.

Le collane

Avatar è la collana di Kipple Officina Libraria dedicata ai romanzi e grandi capolavori prettamente italiani del Fantastico e della SF, opere contraddistinte dalla cura meticolosa dei testi e dalle ampie visioni autoriali. Il logo della collana sintetizza perfettamente il circolo del tempo, delle conoscenze, degli eventi nascosti; l’iperbole del Fantastico per spiccare il volo nella fantasia più sfrenata e meravigliosa.

La collana Spin-off è dedicata alla diffusione di storie ambientate nell’Impero Connettivo – creazione connettivista che narra gli eventi di un Impero Postumano con forti similitudini a quello Romano – in cui lo Stato governa sullo spazio e sul tempo sotto il comando di un alieno, un Nephilim. La valuta monetaria in vigore è l’informazione, mentre l’Imperatore di stirpe aliena Totka_II governa con le sue capacità occulte sull’evoluzione tecnologica dell’umanità: i postumani.

Sandro Battisti | I dispacci imperiali

Kipple Officina Libraria
Collana Spin-off — Formato ePub e Mobi — Pag. 127 – € 1.95 — ISBN 978-88-98953-36-3

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Sandro Battisti | Nel paradigma frattale
Prefazione di Lukha B. Kremo

Kipple Officina Libraria
Collana Avatar — Formato ePub e Mobi — Pag. 142 – € 1.95 — ISBN 978-88-98953-37-0

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Kipple pubblica I giorni tristi, di Uduvicio Atanagi

Kipple Officina Libraria è lieta di presentare, nella collana VersiGuasti, “I giorni tristi” di Uduvicio Atanagi, un nuovo libretto di poesie in versione digitale.

uppercoverProtagonista è la brutalità, una descrizione asciutta e desolata e brutale dell’istante e della realtà, come il pensare a un animale sbudellato ma ancora vivo. Sono i giorni tristi della prima poesia che poi vengono descritti selvaggiamente parola dopo parola, ignorando se in modo piacevole: è ultrarealismo, ed è l’ultima frontiera del poeta.

Dall’introduzione

Ogni volta che leggo le tue poesie io scopro, e continuamente riscopro, il significato della poesia. No, forse non è sufficiente. Io, leggendo i tuoi pezzi, dai tempi di Concetti Spaziali, Oltre a oggi, comprendo che cosa è la poesia. Il suono delle parole, il potere delle parole, la magia delle parole, tutto ciò che scrivi svela il segreto. Oh… lo sappiamo io e te, lo sanno tutti quelli che leggono poesia di nascosto, come fosse uno scandalo, un comportamento contrario al pudore contemporaneo.

Ogni volta che mormoro le tue poesie, leggendole fra i denti e sputacchiando ciò che vi rimane incastrato, io comprendo. Non solo la Poesia, quella con la lettera maiuscola, la Poesia che esiste là nell’iperuranio di Platone fra le cose assolute. No, io comprendo il mondo. Questo mondo. Quello della caverna cui sono legato.

Uduvicio, le tue poesie raccontano il mondo. Capisco quando parli di ultrarealismo e resto esterrefatto dalla profonda, assoluta contraddizione. La tua poesia che si fa a volte evanescente, diafana, e a volte dura come la roccia, tagliente come una lama, scarnificata come una ferita slabbrata, la tua dolorosa poesia semplicemente dice, racconta meglio di qualunque indagine scientifica, giornalistica, ingegneristica, mistico-religiosa, oppiacea, il mondo. Questo fottuto mondo in cui siamo costretti a vivere. La patina che avvolge la realtà e la cela. L’ombra che si riflette sulla parete.

Tu sei un profanatore, colui che prende il velo di Maya e lo strappa in mille pezzi e butta in faccia al lettore i frammenti, i lacerti di questa sindone ingannatrice. E il lettore è lì, con te, sull’abisso di ciò che sta dopo. Di ciò che sta Oltre. Tu sei, in fondo, un diamine di connettivista. Che ti piaccia o meno.

La quarta

Una raccolta di espressioni nude e brutali, uno stile che l’autore chiama “ultrarealismo” di cui questo libretto ne rappresenta una sorta di manifesto, “l’istante raggelato in cui tutti vedono cosa c’è sulla punta della forchetta”, come diceva Burroughs. Nella poesia del reale estremo e spogliato c’è tutta la grandezza di questo autore, versatile e assai atipico, davvero incatalogabile.

L’autore

Uduvicio Atanagi è un autore inesistente, ha utilizzato altri pseudonimi negli ultimi dieci anni. Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da Kipple Officina Libraria nelle varie raccolte del movimento Connettivista, al momento sta lavorando a un fumetto “Una tomba per gli alieni”, a vari romanzi e a piccole storie in continua produzione, pubblicate sul blog http://www.unatombaperglialieni.blogspot.it.

Quello che produce lo chiama Ultrarealismo, considerando ormai obsolete le classificazioni accademiche. La ricerca letteraria di Atanagi verte sul dare al lettore qualcosa che si consumi come cibo, ma è un confronto tra anime per sentirsi meno soli, qualcosa di veloce e di brutale in grado di sopravvivere istanti alla violenza del mondo: una specie di virus che muore se esposto all’aria.

Nel passato l’autore è stato presente sulla scena della musica elettronica sotto lo pseudonimo di Dj Electric Buddha.

La collana VersiGuasti

VersiGuasti è la collana di Kipple Officina Libraria diretta da Alex Tonelli e interamente dedicata alla poesia e alla letteratura lirica in versione digitale, alla costante ricerca di connessioni e poetiche appartenenti al Connettivismo e non solo.

Uduvicio Atanagi, I giorni tristi


Kipple Officina Libraria
– Collana Versi Guasti – Pag. 56 – 0.95€
Formato ePub e Mobi
ISBN 978-88-98953-31-8

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