Lo scemo e il vate

Pinhead-Schlitzie

Che cosa può venir fuori dall’incontro tra una grande mente e una testa rimpicciolita?

Incomprensione, spaesamento, incompatibilità? O, al contrario, un inatteso idillio?

O, per entrare già subito in argomento, vi immaginate che cosa potrebbe accadere qualora facessero conoscenza un grande letterato e un cretino cronico? O, in termini più peegeedanieleschi, quale combinazione si potrebbe ottenere dall’incontro tra uno scrittore e un freak (entrambi, tra l’altro, di chiara fama)?

Procediamo con ordine: com’è noto, la microcefalia rappresenta uno scompenso osseo e cerebrale incurabile. Chi ne sia affetto nasce dotato di un cranio dalle dimensioni ben più ridotte rispetto al normale: quasi miniaturizzato. Ne può conseguire una deficienza cognitiva assai grave.

Mentre in America tali elementi venivano esibiti in pubblico col soprannome di “teste a spillo” (basti ricordare l’iconico Schlitzie, interprete del film di T.Browning Freaks), passati perlopiù sotto false identità esotiche, che non faceva che rimarcare l’impostazione razzista di fondo di un tale genere di spettacoli a cavallo tra ‘800 e ‘900, volta a indurre il visitatore a credere a una naturale inferiorità intellettiva delle etnie non occidentali, nell’Italia proto-novecentesca i microcefali venivano rinchiusi, assistiti ed esaminati all’interno di speciali ospedali e ospizi. Bene che andasse, era consentito loro rivedere la luce del giorno giusto per essere esibiti anch’essi, sì, seppure stavolta per motivi di studio, posti di fronte a una platea di professoroni o di laureandi in procinto di intraprendere la professione medica.

Questo era, per esempio, il caso del microcefalo più famoso di tutti: Battista.

Appena nato, il povero menomato venne abbandonato alla ruota per trovatelli del nosocomio di Voghera. Il piccolo ebbe perlomeno la fortuna di crescere in un ambiente premuroso e ben disposto verso le sue specifiche debolezze. Tant’è vero che, a testimonianza del partecipe interessamento che lo accompagnò per tutta la vita, ci sono rimaste descrizioni dettagliate delle sue attività, che partono dai primi anni di vita, per inoltrarsi sino all’età adulta e a quella più matura.

Uno dei primi a visitare il bambino e ad annotarne le tare psico-fisiche fu niente meno che Cesare Lombroso: dai suoi resoconti veniamo a sapere che nella più tenera infanzia Battista presentava una leggera lanugine su gran parte del corpo, il viso prognato, i denti distanziati con canini grossi il doppio del normale (come a voler sottintendere un regresso sulla scala evolutiva, tema ricorrente nelle disamine lombrosiane e frutto di una cattiva interpretazione del darwinismo). Infine, quel che più ci interessa: aveva una testolina la cui circonferenza si riduceva a 360 mm, quasi priva della fronte, terminante in una cresta dalla consistenza – presumiamo – cartilaginea.

Sul piano emotivo e comportamentale, sembra cercasse volentieri la compagnia altrui, si esprimeva con poche stentate parole (per la maggior parte bestemmie e insulti), manifestava il proprio gradimento impugnandosi i genitali, mentre, qualora gli fosse negato qualcosa cui teneva, cominciava a sbraitare e sputare in faccia a chi ritenesse colpevole di ostacolarlo. Gli si scaraventava poi addosso con la volontà di picchiarlo. Si spostava sempre e solo saltellando o saltabeccando qua e là da un mobilio all’altro. Oltre a questo sin dai primissimi anni era dedito a un forsennato onanismo e adorava straziare a mani nude qualunque animali in cui si imbattesse (tanto che il brefotrofio che lo ospitò per diversi anni si era visto costretto a rinunciare a ospitare, lungo quel lasso di tempo, animali domestici o da cortile).

Un ultimo appunto degno di nota: la volta che, frequentando una speciale classe di sostegno, Battista imparò a contare fino a tre, questo lo inorgoglì a tal punto che da allora in poi iniziò a simulare autografi che rilasciava a destra e a manca, adoperando uno stecchino di legno al posto del lapis, e fingeva di leggere i libri che gli capitavano sottomano declamando una serie di lallazioni incomprensibili.

Il suo corpo crebbe, sebbene non di troppo, mentre la testa rimaneva della stessa misura, cosicché nel corso degli anni il suo handicap primario venne ancor più ad accentuarsi.

Verso l’adolescenza fu preso in consegna dal freniatra Augusto Tamburini, sta a dire il più eminente rappresentante di quella branca della medicina all’epoca delegata alla cura delle malattie mentali. Fu proprio lui a esporre il buffo omino ai colleghi quale “splendido esempio di idiota”, rendendolo entro breve, anche grazie alle numerose cronache giornalistiche, una vera e propria attrazione. Oltre che per il corpo sanitario, pure per i profani più ficcanaso e versati alle curiosità di natura, tra i quali figurava – e qui veniamo al fatidico incontro – addirittura… Giosuè Carducci!

Avvenne infatti che il grande cattedratico, eccelso versificatore, premio Nobel, anch’egli – come molti altri – solleticato dalle notizie sul simpatico microcefalo, il 30 aprile 1899 accorresse alla sede clinica del Tamburini con l’esplicito desiderio di avere un contatto diretto col prodigio umano.

Quando fu introdotto presso le stanze di Battista, quest’ultimo, pur senza ovviamente riconoscere la celebrità che veniva a fargli visita, come per un impulso irrefrenabile (attratto forse dal grosso barbone, dai lunghi capelli arruffati e, più in generale, dalla massiccia figura del grand’uomo), gli saltò subito al collo festante.

Carducci, felicemente sorpreso, abbracciò il tenero microcefalo come si trattasse di un proprio pargolo e, stringendolo amorevolmente, tra bonari ghigni soffocati dall’ispida barba, attaccò ad accarezzargli la testina con estrema dolcezza, abbandonando la rude mano su e giù per la cresta che infiocchettava il minuto cranio del giovane.

Battista nel frattempo, inopinatamente, prese a bestemmiare senza una ragione precisa, seppure lo facesse con un sussurro melodioso.

Fin qui, le esternazioni del sottosviluppato non dovettero dispiacere più di tanto all’illustre poeta, mangiapreti risaputo oltreché autore del blasfemo Inno a Satana.

Dopo però, sempre con eguale dolcezza, l’omino si mise a cantalenargli dritto in faccia: «Brutto coglione! Brutto coglione! Brutto coglione!…»

Tamburini e la sua equipe, visibilmente imbarazzati, si precipitarono a spiegare all’ospite di tutto rispetto che, considerato il limitatissimo bagaglio linguistico di Battista, quella era la sua maniera di esprimere gioia.

Carducci trovò la spiegazione più che plausibile e proseguì perciò a lisciare il morbido pelo sull’amabile capolino oxicefalico per l’intero pomeriggio.

Non resta che domandarci come abbia fatto a instaurarsi un così rapido rapporto amicale tra un tale gigante della cultura e un miserando oligofrenico dalla testa poco più grossa di un pugno. In poche parole, che ci trovò il Carducci in Battista?

È forse possibile che Battista risultasse ai suoi occhi come una sorta di fanciullino carducciano? Ovvero quale versione meno patetica e, peraltro, in carne e ossa di quello stesso “fanciullino” coltivato entro sé dal suo discepolo, successore universitario e collega letterario Giovanni Pascoli, inteso quale espressione dell’animo più intimo, ingenuo e genuino del vero poeta?

Per rimanere in tema, rimandiamo chi poi volesse conoscere più approfonditamente una coppia di microcefali onniscienti, anche conosciuti con il soprannome di “Les idiots savants”, alle peripezie dei gemelli O’Conner, che ritroverete in FREAKSHOW. Curiosi? Cliccate qui!

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